Aziende familiari, Maurizio Tamagnini (FSI): per crescere fondamentale azionista stabile
Qual è lo “stato di salute” attuale delle aziende a proprietà familiare? Qual è il ruolo della struttura finanziaria nella crescita attesa nel post Covid? A dare una risposta il “XII Osservatorio AUB – Le imprese familiari italiane di fronte alla pandemia Covid-19”, presentato lo scorso 26 gennaio durante un webinar dell’Università Bocconi di Milano. La ricerca dell’Osservatorio di quest’anno ha incluso uno studio condotto in partnership da Bocconi con FSI, il più grande fondo di private equity dedicato all’Italia. L’analisi è stata condotta sulla popolazione delle aziende italiane con fatturato superiore a 20 milioni di euro – erano 16.845 unità agli inizi del 2018. In particolare, la ricerca ha testato la relazione tra il livello di equity e la redditività e la crescita delle imprese: i risultati sottolineano la necessità di un riequilibrio delle fonti di finanziamento con un maggior ricorso all’equity rispetto al debito. Nei prossimi anni tutte le aziende italiane saranno sottoposte alla sfida della crescita dimensionale (anche tramite acquisizioni) e prepararsi con una struttura patrimoniale più solida e con maggior equity darà loro più possibilità di vincerla. La collaborazione tra FSI e Bocconi ha permesso l’approfondimento di casi di successo di una formula d’investimento che prevede l’utilizzo del debito “buono” come uno strumento per finanziare la crescita e non come moltiplicatore dei rendimenti finanziari.
Tra i protagonisti dell’evento Maurizio Tamagnini, CEO di FSI, uno degli attori principali del mercato nazionale dell’equity. Il manager ha subito messo in chiaro l’importanza della gestione del debito in una logica di crescita, sviluppo e competitività: “Lo Studio di fatto vuole dare un po’ di oggettività alla forte relazione tra il capitale dell’azienda e la sua sostenibilità di medio lungo periodo. Crediamo che oggi ci sia bisogno di un azionista stabile per portare growth equity, quello che noi chiamiamo benzina”. Solo in un secondo momento, spiega il numero uno di FSI, è possibile associare al capitale di rischio un debito, che tuttavia non va utilizzato per dividendi o distribuzioni, ma per permettere all’azienda di crescere. Nelle realtà aziendali la crescita deve essere una vera “ossessione”, altrimenti c’è il rischio che il mercato azionario italiano continui a rimanere indietro: “Uno dei motivi per cui il nostro mercato azionario non è così sviluppato è che portiamo le aziende in Borsa quando non sono abbastanza mature e aperte a diverse opzioni. Questo a mio parere è uno dei grandi temi culturali da affrontare per far crescere il nostro sistema industriale. Un tema che sarà ancor più presente nel post Covid e che ci porrà di fronte a scelte veramente molto importanti nell’interesse delle aziende”. Bisogna quindi che gli imprenditori italiani cambino approccio: “Dobbiamo mettere le aziende nelle condizioni di vedere l’opzione di investimento non più come un qualcosa da fare a denti stretti, ma un qualcosa che porti benzina al proprio motore. Una volta terminata la pandemia – conclude Maurizio Tamagnini – il mondo delle aziende si dividerà: da un lato quelle capaci di investire, di diventare ancor più competitive e sostenibili, dall’altra aziende che semplicemente non ce la faranno”.
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